COME USARE – BENE – LE EMOZIONI NEL FUNDRAISING

COME USARE – BENE – LE EMOZIONI NEL FUNDRAISING

Quante volte ti sei sentito dire che il modo migliore per comunicare e promuovere la tua causa presso il pubblico consiste nel ricorrere alle emozioni? Come dimostrato dal report annuale dell’ASA (Advertising Standards Authority), tuttavia, se è vero che le persone ascoltano i fatti, ma aprono il portafoglio alle emozioni, è altrettanto vero che queste ultime devono essere usate in modo consapevole, responsabile, etico, senza il ricorso ingiustificato a immagini e contenuti strazianti. Secondo Alan Clayton, anzi, il fundraising migliore nasce dalla somma di emozione e integrità.
La domanda che sorge spontanea a questo punto è: come si raggiunge questo delicato equilibrio?

Per prima cosa tracciando una linea diretta tra donatore e beneficiario, tra la decisione di una persona di donare alla onp e le vite salvate o le persone aiutate grazie alla sua donazione (reward emotions). Come scrive Kivi Leroux Miller, i donatori devono sentirsi dei supereroi, per continuare a sostenere una causa, a combattere i cattivi, a rendere il mondo un posto migliore. E si sentiranno tali se avranno la percezione di fare la differenza, di avere un impatto significativo sulle possibilità della onp di raggiungere i propri obiettivi. A livello di comunicazione questo approccio si traduce ad esempio nel sostituire il noi con il tu, ossia nel raccontare la storia del donatore, non della onp, che anzi deve essere dipinta come un suo strumento per introdurre un cambiamento nel mondo.
Un altro accorgimento consiste nel ragionare su piccola scala, secondo l’assioma one is greater than one million, esposto da Arthur C. Brooks nel “New York Times”: quando si tratta di persone in difficoltà, un milione è un mero dato statistico, uno è una storia, carica di umanità.

E a proposito di storie, una delle difficoltà che un fundraiser non dovrà mai affrontare è la loro assenza: all’interno di ogni onp c’è infatti un patrimonio senza fine di storie, di verità potenti ed emozionanti da comunicare.

Su che cosa si deve puntare quindi per raccontarle? Non sul senso di colpa, che può dare risultati a breve termine, attirando l’attenzione del pubblico su un problema o un bisogno, ma è meno efficace sul lungo termine, quando si tratta di muovere all’azione – anche perché si raggiunge sempre un punto di saturazione oltrepassato il quale il donatore diventa indifferente.

È invece la verità, la sola e semplice verità, che riscatta emozioni anche dolorose e scioccanti, come evidenziato dal fondatore di Harrison’s Fund, Alex Smith, in occasione della campagna I wish my son had cancer.

Per usare bene le emozioni nel fundraising, quindi, la chiave sembra essere racchiusa in una bilanciata e misurata combinazione di emozione e sincerità. Una soluzione che è evidentemente finalizzata a costruire una relazione più profonda, significativa e duratura con l’unico vero giudice delle onp: il donatore. Il che ci porta a un altro grande interrogativo: quanto conosci il tuo donatore e i suoi desideri?

 

Fonti
101fundraising
nonprofitmarketingguide
sofii